Il welfare di comunità è un nuovo modello collaborativo e partecipato con cittadini, enti, imprese e organizzazioni del terzo settore per affrontare il problema della conciliazione tra vita privata, famiglia e lavoro.

Nei rapporti umani, nella vita cittadina, di quartiere o di condominio, ci troviamo ad affrontare una sfida contro il tempo che ci vede costretti a sopportare esperienze caricate di un alto livello emotivo.

Sono esperienze che ci obbligano nel difficile compito di re-inventarci per assecondare bisogni emergenti come le responsabilità di lavoro, la famiglia, che spesso si accavallano con il doversi prendere cura dei figli, di persone malate o con dipendenze, o altre situazioni comuni come l’aver sperimentato una perdita, una delusione o un evento traumatico.

Emozioni e fonti di stress che caricano il nostro bagaglio personale senza che spesso si sia consapevoli del loro peso e di come influenzino il nostro benessere e la qualità della nostra vita.

In questo quadro di necessità, i nuovi mezzi di comunicazione digitale che sembrano avvicinarci, spesso sono causa di nuove solitudini.

Il welfare di comunità cerca di coniugare il vecchio bisogno ad una socialità “di corte” – di prossimità e di quotidianità consolidata – con percorsi che interagiscano con le nuove modalità di vita.

Non si tratta di un dualismo nostalgico ma di qualcosa di nuovo e sinergico:  qualcosa che non potrebbe fare a meno di nessuna delle sue due “nature” – le buone pratiche del passato e gli strumenti attuali – e, proprio per questo, possiede le basi necessarie per guardare al futuro.

"Ciò che Dio non può più fare, una donna, a volte, lo può fare."

— Daniel Pennac
Da gabbia a rete

Nel 2016 il 78% delle donne lavoratrici ha rinunciato al lavoro per venire incontro alle esigenze della famiglia.
Un dato in crescita che ha come motivazione la mancanza di una rete di supporto.
Il progetto Welf-care vuole annullare questa mancanza, diventando il punto di incontro: uno spazio di comunità, in cui chi usufruisce del servizio è promotore di scambi e relazioni in un’ottica di valore condiviso.
Una rete, insomma, il ritorno alla vecchia idea di corte come luogo amico e protetto in cui sentirsi accolti, che non costringa il 40% delle donne ad abbandonare il lavoro e oltre il 60% ad un part-time forzato.
Un network dove non restare imprigionati, ma in relazione con chi, vivendo una condizione simile, può essere da stimolo per innescare nuove soluzioni.

Part-time involontario
Dimissioni involontarie

7.000

ORE DI ATTIVITÀ

35.000

ORE DI LAVORO SALVATO ALL'ANNO

525.000

VALORE RECUPERATO ALL'ANNO

500

PERSONE COINVOLTE