Educazione, benessere, condivisione: sono tutti elementi, importanti per la formazione di una persona, che possono essere ritrovati in qualunque attività sportiva. 

In qualità di promotori di questi principi è stata organizzata una serata presso il polo di Saval dedicata interamente allo sport, alla quale è stato invitato Damiano Tommasi, ex calciatore della nazionale, oggi giocatore amatoriale, presidente dell’Associazione Calciatori Italiani, ma soprattutto padre di cinque ragazzi!
La serata intitolata “L’importanza educativa dello Sport: Testimonianze di Vita”, organizzata dalla nostra Welfare Community Manager Michela Garofalo e condotta da Matteo Dani, che ha visto, oltre a Damiano, ospiti illustri quali Flavio Massaro, Presidente del Saval Maddalena, Romano Mattè, ex allenatore ed opinionista televisivo e Claudio Prando, delegato provinciale FIGC, ha avuto come elemento centrale di discussione l’importanza che hanno le attività sportive nell’educare i giovani, ma soprattutto l’indispensabilità di ricorrere all’educazione nei campi da gioco a qualsiasi livello di ciascuna attività sportiva.

Gli interventi di Damiano sono stati molto interessanti, capaci di far riflettere e colpire esattamente nel segno, e di seguito ne riportiamo i passaggi principali.

Dopo aver spiegato che il gioco del calcio spesso è soggetto a più critiche rispetto ad altri sport, dal momento che le regole sono molto più conosciute e diffuse rispetto ad altri e come questo spesso porti gli adulti a intervenire nella gestione delle partite o ad essere talvolta più competitivi dei figli, ha spiegato come spesso le attività sportive e le scuole non collaborino per aiutare i ragazzi a conciliare eduzione sportiva e scolastica.

Molti dei genitori inoltre spingono i propri figli, anche portandoli a trascurare la scuola, a continuare a giocare nella speranza che per loro si prospetti una carriera nel settore, trascurando l’importanza della scuola e dello sport come momento educativo e di gioco. In merito, sono stati presentati alcuni dati secondo i quali solo il 7% dei ragazzi iscritti alle associazioni calcistiche, in un’età compresa tra i 25-31 anni, fanno i giocatori professionisti, ovvero circa 350 individui. Proprio per questi dati è fondamentale capire che il calcio, come gli altri sport, più che come un’opportunità deve essere considerato come un momento di benessere e di divertimento, costruendosi anche strade alternative.

Damiano sottolinea come questo messaggio venga “storpiato” dai giornalisti e dalle testate giornalistiche che si focalizzano sui guadagni e sulla visibilità, senza specificare i sacrifici che un atleta di qualsiasi disciplina deve sostenere per poter raggiungere certi livelli. I meriti vengono riconosciuti poche volte, mentre ci si focalizza molto sui fallimenti dei giocatori, ma questo, sottolinea Damiano, è soprattutto un problema legato ai genitori e all’educazione che impartiscono, spesso ci si dimentica della vera essenza dello sport e del calcio: il divertimento e il benessere che procura.

 

“Giocare per divertirsi è un’idea alla quale bisogna abituarsi, la presenza di podi o di premiazioni è importante per stimolare i ragazzi a fare di più, ma non deve essere alimentata dai genitori che vogliono a tutti i costi vedere i propri figli raggiungere quei traguardi."

Damiano riporta poi le parole di Maurizio Sardi: “Quando ho iniziato ad allenare ero fissato con la preparazione, maniacale, nei movimenti e urlavo… Poi mi sono reso conto che il calciatore rende di più se si diverte. Perché ho pensato che il bambino che ci ha fatto appassionare a questo sport, è ancora dentro di noi.” E Damiano aggiunge: “Se voi guardate le squadre di Sardi, sembrano dei bambini che giocano a voler tutti il pallone, e se lo passano perché vogliono fare goal, e tutti che vogliono partecipare al gioco”. Questo parlare di bambino che vuole giocare, spesso è un elemento che viene dimenticato, anche ai livelli più bassi di competizione.

“Bisogna convincersi che c’è un altro modo per fare sport, di creare connessioni."

L’intervento di Damiano si conclude poi con un’esperienza molto significativa di come lo sport possa aiutare i più giovani a sentirsi valorizzati ed apprezzati. Racconta infatti di un ragazzo al quale era stato diagnosticato uno stato di iperattività e un disturbo dell’attenzione, due elementi che però gli hanno permesso di eccellere nel parkour. Ed è stato proprio in quel momento che questo giovane ha smesso di sentirsi da meno rispetto ai propri compagni, ed ha iniziato a considerare questa sua diversità preziosa.
Lo sport, di qualunque tipo, dovrebbe insegnare proprio questo: scoprire e mettere a frutto i propri talenti, ricordandosi sempre che l’importante è divertirsi e pensare al proprio benessere.